mercoledì 27 novembre 2019

almeno ascoltami
altra da me, innamorata da poco,
visitazione di un angiolo,
con gli stessi alberi che hai visto
minacciare di bellezza la finestra
pervinca
il letto scolpito da me sola
per giorni forse dalla nascita
forse dalla stanza
della madre e del padre
che spiai a piedi nudi
e feriva di arcanissimi
sonni in due, il punto di inizio
di tutto
di troppo legno leggero
il grando mistero.

2 commenti:

  1. Cenere

    Giornata primaverile. Un raggio di sole
    ha occupato metà cucina. Mi
    riscaldo in solitudine, si disgela
    il cuore. Una musica melliflua invita
    a qualcosa di romantico.
    Leggo Trakl – “Salmo”, ma tutta la religiosità
    è legata alla luce solare, che marchia
    la pelle con misteriosi segni pagani, cancella come con una gomma
    le stimmate e i tatuaggi. Il paradiso
    è per chi non riconosce il paradiso. La città –
    eterna, maledetta – copre per me le montagne:
    le case, mogie, ora si sono trasfigurate, come alberi,
    che con tutto il loro aspetto
    mostrano che siamo gravidi della primavera, e dove
    ancora essa si percepirà? Questo delirio
    entra sempre nelle orecchie – come
    una mosca, un calabrone di passaggio, o come i colombi,
    che sulla veranda si uniscono in matrimonio. Non
    viene a me il mio angelo. Chi mi salverà,
    oh, Ardvisura4? È primavera,
    e il cielo azzurro è ancora freddo e sordo
    alle mie preghiere. Vorrei sentire
    la “canzone dei rami di melo”5. In cambio
    mi hanno proposto
    di farla finita con le sciocchezze e di impegnarmi. Dio!
    Certo, è tempo di diventare zoroastriano:
    bruciare tutto sul cammino e lasciare dietro di me
    solo la terra riarsa, coprire di cenere
    le proprie ciocche arruffate. Del resto,
    viene circa così: la metà di marzo,
    mezzogiorno, la cucina.

    Chamdam Zakirov

    RispondiElimina