almeno ascoltami
altra da me, innamorata da poco,
visitazione di un angiolo,
con gli stessi alberi che hai visto
minacciare di bellezza la finestra
pervinca
il letto scolpito da me sola
per giorni forse dalla nascita
forse dalla stanza
della madre e del padre
che spiai a piedi nudi
e feriva di arcanissimi
sonni in due, il punto di inizio
di tutto
di troppo legno leggero
il grando mistero.
Cenere
RispondiEliminaGiornata primaverile. Un raggio di sole
ha occupato metà cucina. Mi
riscaldo in solitudine, si disgela
il cuore. Una musica melliflua invita
a qualcosa di romantico.
Leggo Trakl – “Salmo”, ma tutta la religiosità
è legata alla luce solare, che marchia
la pelle con misteriosi segni pagani, cancella come con una gomma
le stimmate e i tatuaggi. Il paradiso
è per chi non riconosce il paradiso. La città –
eterna, maledetta – copre per me le montagne:
le case, mogie, ora si sono trasfigurate, come alberi,
che con tutto il loro aspetto
mostrano che siamo gravidi della primavera, e dove
ancora essa si percepirà? Questo delirio
entra sempre nelle orecchie – come
una mosca, un calabrone di passaggio, o come i colombi,
che sulla veranda si uniscono in matrimonio. Non
viene a me il mio angelo. Chi mi salverà,
oh, Ardvisura4? È primavera,
e il cielo azzurro è ancora freddo e sordo
alle mie preghiere. Vorrei sentire
la “canzone dei rami di melo”5. In cambio
mi hanno proposto
di farla finita con le sciocchezze e di impegnarmi. Dio!
Certo, è tempo di diventare zoroastriano:
bruciare tutto sul cammino e lasciare dietro di me
solo la terra riarsa, coprire di cenere
le proprie ciocche arruffate. Del resto,
viene circa così: la metà di marzo,
mezzogiorno, la cucina.
Chamdam Zakirov
molte molte grazie
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