martedì 19 settembre 2017

Per l'umiltà. È così raro però soffrire una bella totalitaria ingiustizia. Sono cosí tortuosi i nostri atti. In genere, si trova sempre che un po' di colpa ce l'abbiamo anche noi e addio mattino invernale.
Non solo un po' di colpa, ma tutta la colpa, non c'è scampo. Sempre.
Che la coltellata venga tirata per scherzo, per ozio, da una persona fatua, non allevia le fitte, ma le rende più atroci, disponendo a meditare sulla casualità della cosa e sulla propria responsabilità nel non aver preveduto la caduta.
Immagino che sarebbe un conforto sapere che la persona feritrice si macera di rimorsi, annette importanza alla cosa? Non può nascere da altro questo conforto che dal bisogno di non essere solo, di serrare legami tra il proprio io ed altri. Inoltre, se quella persona soffrisse il rimorso di aver straziato non me in particolare, ma soltanto un uomo in quanto creatura, desidererei questi suoi rimorsi? Bisogna quindi che proprio io, e non l'uomo che è in me, venga riconosciuto, rimpianto e amato.
E non si apre il campo a un'altra durevole tortura, ricordando che la persona feritrice non è fatua, oziosa e leggera? Ricordando che essa è solitamente seria, comprensiva, tesa, e che soltanto nel mio caso ha scherzato?


Cesare Pavese, Il mestiere di vivere - Diario 1935-1950

1 commento:

  1. quando ero giovane e giocavo a tennis col mio amico del cuore, restavo sempre a preoccuparmi che, dal momento che durante l'incontro non scherzava come sempre, mi stesse tenendo il muso. In realtà era solo concentrato (io perdevo regolarmente perché continuavo a chiedermi che cosa avessi fatto di sbagliato per incattivirlo )

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