mercoledì 6 giugno 2018

Marcel Proust a Jacques Rivière Parigi, 6 febbraio 1914 


Signore, finalmente un lettore che intuisce che il mio libro è un'opera dogmatica e strutturata. E che gioia per me che siate voi quello. [...] Come artista, ho trovato più onesto e delicato non rivelare, non proclamare che quel che mi prefiggevo era la ricerca della verità, e in che cosa essa consisteva per me. A tal punto detesto le opere ideologiche nelle quali la narrazione è un continuo tradimento delle intenzioni dell'autore, che ho preferito non dire nulla. E' solo alla fine del libro, e dopo aver comprese le lezioni della vita, che il mio pensiero si paleserà. Quella che esprimo alla fine del primo volume, in quella parentesi del Bois de Boulogne che ho messo lì come semplice paravento per terminare e chiudere un libro che per motivi pratici non poteva superare le cinquecento pagine, è il contrario della conclusione. E' una tappa, che si presenta come soggettiva e dilettantesca, sulla via che porta ad una conclusione del tutto soggettiva e convinta. Inferirne che il mio atteggiamento mentale è uno scetticismo disincantato, sarebbe esattamente come se uno spettatore, vedendo alla fine del primo atto del Parsifal che il personaggio non capisce niente della cerimonia ed è cacciato da Gunremanz, supponesse che Wagner ha voluto dire che la semplicità di cuore non porta da nessuna parte. In questo primo volume avete visto la sensazione piacevole che mi procura la madeleine inzuppata nel tè - come dico, smetto di sentirmi mortale etc. e non capisco perché. Lo spiegherò solo alla fine del terzo volume. Tutta l'opera è costruita in questa maniera. Se Swann affida così fiduciosamente Odette a Charlus (e sembra ch'io abbia voluto riproporre la banale situazione del marito che si fida dell'amante di sua moglie) è che Charlus, e Swann lo sa, lungi dall'essere l'amante di Odette, è un omosessuale che ha orrore delle donne. Nel terzo volume vedrete anche il motivo profondo della scena delle due ragazze, delle manie di mia zia Léonie ecc. No, se non avessi convinzioni intellettuali, se cercassi soltanto di ricordare il passato e di duplicare con questi ricordi l'esperienza, non mi prenderei, malato come sono, la briga di scrivere. Ma questa evoluzione del pensiero, non ho voluto analizzarla astrattamente bensì ricrearla, farla vivere.Sono costretto quindi a dipingere gli errori senza ritenermi in dovere di dire che li giudico tali: tanto peggio per me se il lettore crede che li considero verità. Il malinteso si accentuerà nel secondo volume, spero che si risolverà nell'ultimo. Mi fa molto piacere sentire che almeno fra noi malinteso non c'è stato e vi esprimo, per la gentilezza che avete avuto di dirmelo, la mia viva (sperando che mi consentirete di aggiungere un giorno affettuosissima) gratitudine. 


 Marcel Proust

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