lunedì 5 febbraio 2018

Dedichiamo tanto spazio alla descrizione del suo numero non soltanto perché agli artisti di varietà, e in special modo ai fantasisti, succede di essere dimenticati prima degli altri, ma anche perché è naturale voler analizzare il tipo di eccitazione che evidentemente provano nell’esercizio della loro arte. Nessuna mirabolante presa sul campo di cricket, nessun glorioso goal schiaffato in porta durante una partita di calcio, e nessuna delle sue prodezze precedenti, come quando, nel suo primo giorno a Riverlane, aveva affibbiato un bel knock out al peggior bravaccio della scuola, avevano mai provocato a Van la soddisfazione che provava ora interpretando il ruolo di Mascodagama. E non perché questa fosse direttamente connessa all’alito caldo dell’ambizione appagata, anche se, quando diventò molto vecchio, guardando indietro a una vita di sforzi non riconosciuti, Van accoglieva con divertito piacere – con maggiore piacere di quanto avesse provato allora – le acclamazioni banali e l’invidia volgare che avevano turbinato intorno a lui per un breve periodo della sua giovinezza. L’essenza della sua soddisfazione somigliava più a quella che gli sarebbe derivata più tardi dal risolvere compiti autoimposti, bizzarramente difficili e apparentemente assurdi, come quando cercava di dare espressione a un’immagine che prima di quel suo tentativo aveva soltanto un’esistenza corpuscolare (o addirittura nessuna esistenza – nient’altro che l’illusione dell’ombra retrospettiva della sua imminente espressione). Era il castello di carte di Ada. Una metafora in equilibrio sulla testa, non per il gusto di sperimentare un trucco difficile, ma per poter vedere una cascata in salita o un’alba alla rovescia: un trionfo, in un certo senso, sull’ardis del tempo. Il rapimento che il giovane Mascodegama traeva dalla sua vittoria sulla forza di gravità era, insomma, simile al quello che accompagna la rivelazione artistica, completamente e naturalmente sconosciuto agli ingenui professionisti della valutazione critica, ai commentatori della scena sociale, ai moralisti, ai trafficanti di idee e così via. Van sulla scena compiva, dal punto di vista organico, ciò che avrebbero compiuto le sue figure retoriche negli anni successivi, e cioè imprevedibili prodigi acrobatici che spaventavano i bambini”.
Ada o ardore, Vladimir Nabokov, 1970, Ed. Adelphi

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