lunedì 6 marzo 2017

La bambina divenne tutte le bambine, anemoni rossi gli circondarono il collo, coroncina globulare. Era l'unica ad esistere: da un buco, come cappero selvatico, la vedesti sporgersi.
Me la passasti sul tavolo, come una vivanda, un pregare responsoriale e niente altro mostrasti che si possa chiamare umano, se non il tuo continuo strisciare e strascicare le palpebre alle tempie, le mani a piallare lo sguardo dal volto, oh dispensatrice di pane non pianto.
Così la bambina mi venne in braccio, divenne tutte le fonti d'acqua sulle seccure delle paure, le linfe distillate,
le ruote divelte, le ortiche come acacie, arrugginì la vostra spilla gemella, la morte sorella,
e una di avorio le tratteneva i capelli - un fiocco rosso si infilò nel tuo occhio -
spuntò un papavero sul dirupo del mondo.
E la bambina di tutte le bambine ti dissetò di sé e di te, poi prese con sapienza contadina, le braccia in tondo, la brocca più grande della sua bocca e spinse indietro la testa come bevesse pioggia:
tu vedesti il ruscello, le pietre grandi, vive di vene, ridenti, coro di colombelle; ma fu come asciugare da valle a monte la fonte, il rivolo dal calcare, con un proiettile dritto fare diga, schiantare la roccia, esplodere l'animale del silenzio totale. Trapassò lo sparo la tramina del polso, poi centrò la brocca e infine il suo embrione di cuore, l'ugula del pettirosso.
Cadde il nastro come un astro:

la bambina multipla della speranza si sparse per terra, un coccio povero e bello, le schegge insieme all'acqua acquarello, venne tutto avvolto in una copertina, come un trasloco, bustina ricamata di fiori di loto; tu contasti a mente i righi cinabri sulla lana che più non scalda, come il fiocco, come il foro
come il coccio, facesti un tetto di te sotto il quale ripetere
ho visto tutto, sì, ho visto tutto.

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