domenica 30 giugno 2024

Una poesia di Nazim Hikmet narra di un albero di noce e del suo proprietario Yunùs, zoppo perché caduto da bambino da quei rami. La sua ombra abbracciava d'estate quaranta persone e di notte, sdraiati alla sua base, non si vedevano le stelle per quanto era fitto il fogliame.

D'autunno il suo frutto saziava il villaggio.
Ma i tempi si indurirono e Yunùs resta povero. La povertà non si governa, non rimane ferma, spinge verso il precipizio della miseria.
Gli amici consigliarono di vendere il noce, è pagato bene, se ne fanno mensole, tavole, armadi. Yunùs resiste, prima vende il bue, vuol dire che arerà spingendo lui l'aratro.
Ma la povertà non ha il salvagente per stare metà sopra e metà sott'acqua. Di povertà si annega. Yunùs aspetta l'inverno e abbatte il noce con tutti i nidi sopra, lasciati dagli uccelli che sono migrati dopo l'ultima raccolta delle noci. Eccolo disteso sulla neve, i rami aperti sono braccia spezzate e contengono un grido di albero e di uomo.
In fine di poesia Nazim Hikmet scrive: "Nelle nostre chiacchiere c'è la tristezza di un noce tagliato e venduto".
In ogni gioventù esiste un albero di noce intorno al quale raccogliersi per discussioni accese, per mosse improvvise che intendono fare luce sul futuro. C'è un età che ha bisogno di un albero piantato molto prima.

da Anni di rame, Erri De Luca

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