domenica 11 febbraio 2024

 Sono un piccolo agente di commercio,

con referenze e conoscenza di qualche linguaggio,
e con la bombetta sul capo come i cocchieri di Ostenda,
e un pastrano topesco e lercio.
Smanio e recito perché qualcuno mi senta
e si accorga che esisto.
Scrivo la sera, come suol dirsi, a tempo perso,
perché le crevettes non abbiano freddo al mercato.
Scrivo i miei sfoghi di povero cristo,
smanio e racconto come un vecchio soldato,
ma non ho più la parlantina occorrente,
e il campionario è già stinto,
il mio albero di metafore un tempo stupende,
e la scrittura è decrepita, stolta.
Dov’è il mio furore di vivere, il mio barocco?
Stanco, mi fermo a guardare con invidia talvolta
la dolce follia dei bambini che giuocano.

*

Darling, lo so, il mio continuo lamento ti attedia,
questa eterna altalena tra ebbrezza e malore.
Il mio rammarico è forse volontà di commedia.
Grande è la buffoneria del dolore.

*

Calvo e occhialuto, Loplòp, inerpicato su duplici suole
aggiusta l’acquario. Con braccio-rovaio
spaventa le code forcute dei barbi, le padelline zebrate,
i Frères Jacques degli stagni, i minuscoli acròbati
in tricot a strisce rosse, che fanno capigliaría,
slittando nel limo del tetto: music-hall ittico.
Odio la neve, le àgavi, i cervi, le àgavi, i cervi, la neve. Confido
dell’apoplessía, di quei pesci, nella Pompei dell’acquario.

*

Habet Islandia coloris albi ingentes ursos.
E noi avevamo il giardiniere Montezelius,
basso, sferico, gli stivaloni alle orecchie nascoste dal basco,
Motezelius che, intriso di birra dall’alba al tramonto,
batteva con passo guascone i sentieri.
Su stivali cavalca il turacciolo, il trollo rigonfio
dal basco sopra le orecchie, gli occhietti che saltano
come le pulci in un circo, s’aggruzza, sorseggia
la sua piccola vita di laido pagliaccio, il trascinabottiglie,
ma a casa possiede una Bibbia: muffita, vecchissima.

*

Portava scarpine di tela bianca, lei. Né cigno né luna.
E la vita le ripeteva: hai tu avuto mala mescianza.
E Anubio dal becco storto di squallido tapiro
era il suo amore sempre triste, sempre malato.
Sempre costretto a fracida bevagna,
mascherone burlato, giara di lacrime,
spento bozzagro ai confini del mondo,
sbrindellato gherone d’un cielo senza rimorsi,
e per voi begolardo dalla schiavina consunta.


Angelo Maria Ripellino

3 commenti:

  1. Un grandissimo da riscoprire. Grazie per averlo snidato dall'oblio

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  2. sono diventata snidatrice, azione non sempre bella, grazie a te diamonds

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