lunedì 1 gennaio 2024

Un poeta si china sulle sue poesie, ne ha fatte venti. Sfoglia una pagina dopo l’altra e trova che ogni poesia risveglia in lui un sentimento tutto particolare. Si tortura penosamente il cervello per scoprire cosa sia mai quel non so che di sospeso sopra o attorno alle sue poesie. Preme, ma non viene fuori niente, spinge, ma non esce nulla, tira, ma tutto rimane qual è, vale a dire oscuro. Si abbandona sul libro aperto tra le braccia conserte e piange. Io invece, quel briccone di autore, mi chino adesso sulla sua opera e scopro con infinita disinvoltura qual è il mistero. Si tratta molto semplicemente di venti poesie, di cui una è semplice, una pomposa, una magica, una noiosa, una commovente, una deliziosa, una infantile, una molto brutta, una bestiale,

una impacciata, una inammissibile, una incomprensibile, una ripugnante, una affascinante, una misurata, una sublime, una schietta, una spregevole “una povera, una ineffabile, e una non può essere più niente per “ché sono soltanto venti singole poesie che hanno trovato per voce mia un giudizio, se non proprio equo, quanto meno rapido, il che mi costa sempre la minor fatica. Ma una cosa è certa, il poeta che le ha fatte piange tuttora, piegato sul libro; il sole splende su di lui; e la mia risata è il vento che gli scorre impetuoso e freddo nei capelli.

Robert Walser, Storie

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