martedì 22 ottobre 2019

ancorata alla stanza
approdata nel gelo
ficcata tra una giovinezza infinita
le notti lievi
la fecondità della vena,
lanciata verso il giorno ogni giorno,
sei ancorata alla casa di cartone gesso
nella perenne verdezza del suo silenzio
di nuovo fai terra sul pavimento
seccume sotto il letto,
ancorata alla tua stanza,
diminuisce di ora in ora la tua lingua
sottile arpeggio, cordino liso,
guardi solo in basso, le ginocchia volgere
un effimero di pioppi,
sei in viaggio verso la cartiera
procedi alla pressatura della vita
ancorata alla tua stanza,
talvolta sogni che zappi, ti senti sulle mani i calli
ti sale il profumo di pomodori, di ciuffi di tuberi,
scrolli di nuovo sul letto
fai finta che sia presto
accendi la luce e togli un vasetto da anni vuoto
un quadro, una foto, sparisce tutto qui dentro
il passato è un sintomo dello spazio, non ha senso
la sedia è vuota
ancorata nella tua stanza,
va solo in pausa breve la tristezza
commessa
da dio commissionata
si risiede padrona,
guarda anche me nella stanza scartata
angolo di ragno
aletta d'ansia
ronzio venefico,
mi riparo gli occhi
me ne vado sicura
e sconfitta,
plateatica e stordita,
sono quella che ti vede morta
a pochi metri quadrati di distanza
dalla stanza, dirimpettaia diafana.




























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