martedì 12 dicembre 2017

ogni tanto compare da una porta vietata un addetto ai macchinari, senza giacca, le braccia incrociate di dietro, la faccia da infermiere che ha fatto la notte e si accorge dell'ora alta solo in quel momento
ma non c'è nessun altro in stazione, solo noi che facciamo avanti e indietro, in apparenza tranquilli, ma guardinghi come mosche, pronti a sparire nel piccolo sottopasso.
Fanno differenza gli innamorati al primo amore, nascosti dai genitori, si baciano sulle gelide panchine in graniglia, di solito l'ultima,vicino alle toaletta, al giardino che non ha più rose e la palizzata semi franata; poco distante si sentiva giocare a bocce, ridere forte, al dopolavoro si fermava anche L., prima di andare in municipio, aveva la spilletta del partito sul bavero e i baffi alla peppone, chiedeva sempre di mio padre con quel modo che tutti avevano di informarsi di lui dopo la malattia del mutismo, con rispetto e pietà, con mezzo tono di voce più basso, spesso rispondevo senza aver capito tutto ma era lo stesso, avevo sempre la risposta pronta per proteggerlo, per mentire un poco sulla sua nuova vita da scantinato, era lì che teneva tutto, le tenaglie e il suo tritacarne professionale, lucidissimo, la carta vetrata, il trapano, negli ultimo tempi anche un fornello e vecchi libri di Veronelli prezioso acquisto di quando andava alle sue gite sui colli e tornava allegrotto e carico di vino buono, ora è sparito, non so cosa sia sparito, non tutto, ma molto, più di quanto sia capace di ammettere in queste mattine in prospettiva di fili e albe che vanno l'una all'altra in senso opposto dell'unico binario, mi meraviglio ogni giorno di quel trucco che in pianura da il cielo, finché non prende il sopravvento la lezione del saldatore in pensione al bar dei cinesi, l'ex operaio col capannello di disoccupati che spiega passo passo come si fondeva il ferro e il punto esatto, lo vedo che ancora scintilla che non si è mai tolto la maschera, racconta spesso un episodio che non afferro per intero in cui ebbe ragione sul capo, quando lo ripete apre le gambe e muove le braccia scostandosi dal tavolino, è un buon maestro anche se deve spesso darsi ragione e motivare la sua classe che cambia di volta in volta. Ma subito dopo guardo con insistenza il bigliettaio e lo peso con lo sguardo, mi pare che smagrisca di viaggio in viaggio, adesso porta un berretto di lana grigio che gli fa un testone squilibrato rispetto al pantalone che lo segue dopo che ha fatto il suo lungo passo tra i sedili, temo sia malato, penso che non si dia per vinto come quelle storie di coraggio che si leggono in giro, che può tutto, dicono, specie se hai il cancro ma se è così a cosa mi aggrapperò io, io che amo i libri stampati, i sacri quadri nei musei, i trifogli, i pioppi, i fiumi, il vaso ricolmo di sassi, il sasso di Monterosso, le case di dietro e le mille cose che mi seguono di posto in posto, sono un asilo, ho mutuato il ricordo di mia madre come un gattino nel rifugio anti aereo, non so proprio se questi spiritelli mi daranno la forza, più spesso soccombo ad esse, indebolisco d'affetto, mi ammalerei più forte nello sforzo di dire tutto il non detto e non riuscirei lo stesso.

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e adesso?


2 commenti:

  1. 'La commedia all'italiana è finita, quando i registi hanno smesso di prendere l'autobus", diceva Monicelli. Anche smettere di frequentare le stazioni non ha fatto benissimo a chicchessia aggiungo io

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  2. non posso che darti ragione, ma sono fissata, si capisce, con le stazioni, anche degli autogrill eh :)

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