domenica 16 aprile 2017

a sera, aestella, ritorno randagia nella via che porta alla casa e potrebbe sembrare un controsenso ciò che ti dico, la strada nota, il numero civico, in mezzo a chi ficca la testa nel bidone, la torcia in bocca a illuminare i nostri fondi sporchi e l'inutilità e l'umidità di liquidi fermentati, ma mi è più familiare questo nero ragazzo con la protesi della fame che io stessa che salgo le scale lavate, che giro la chiave che apre e sono di colpo in un luogo come apparsa da un altro mondo, uno spettro che non va a spaventare nessuno, che non ha messaggi né parole da sussurrare, qui,
degli stessi ricordi posso far quel che voglio, non c'è nessuno a confutare la mente debole o completare ciò che non compresi, non vidi, non sentii,
così rimango senza sponde e senza angolatura, una figura dei libri sfogliati in fretta, la dimenticanza di me stessa, la lontananza di ciò che mi manca per sentire quel poco di sapore umano che anche io avevo, vedere il padre oscillare tra i condomini, la sua cravatta su abiti di tutti i giorni, il suo odore di antica crema da barba, e il passatoio del silenzio che ci aiutava a discorrerci e ci obbligava alle sintesi dell'amore, un sorriso piccolo, l'occhio luminosissimo, la pasta dolce che mi porgeva nel sacchetto,
e incontrare la madre dietro la siepe del bar per il modulo nuovo della settimana, gli strilli, i giocattolini, le sue storie con formiche, il confronto sulle mani gonfie, l'anello nuziale come un medico personale che rigira i palmi e abbassa le palpebre bianche, la casella in cui infilavi le pene e quella semiaperta delle gioie di paese,
perché non mi vedo e non mi vedete?
questo a sera, aestella, mi chiedo, sapendo di essere io in torto, io in debito crescente di ascolto, di aiuto, di compagnia familiare, di fiori per le vostre e le mie case radicate, pecco di braccia e risate con i miei vecchi che di tutto ridono e di tutto piangono, anche di me, di me intrusa e stupidamente indaffarata al cospetto di una vita che a questo si riduce, per gloria divina, avere occhi soltanto per la semplice ora dei miei simili che non mettono mai gli abiti buoni nei giorni feriali, che attendono un momento propizio, un forma di rispetto per cambiarsi d'aspetto, un matrimonio o un funerale conviviale, e basta basta basta, vorrei gridare e poi mettermi a correre e non fermarmi se non al tuo indirizzo, al mio indirizzo, ed entrambi sarebbero miei, tornerei con un nome, sì, tornerei tutta, con la mia faccia, con l'acacia in un pezzo di giornale, con la mia inquietudine di fiume, tornerei come il cane zuppo e scodinzolante al cancello dopo il temporale durato anni.

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