lunedì 20 febbraio 2017

aestella,
quaggiù involucri e sedie smangiate, materassi legati a due a due, calco con calco dei dormienti, giochi che restano in strada vivaci e monchi di bambini, gli spazzini non alzano mai gli occhi, rimuovono i vuoti, troppi vuoti per un posto solo, è inarrestabile la moltiplicazione delle genti invisibili, le ramazze di plastica alzano polveri nere e grosse,
birre senza marca rotolano al centro della strada: dove sarà chi le ha tenute come aspersori, pagate alla cassa biascicando gli ultimi insulti, guardano mucchietti rame di centesimi tra i vecchi incattiviti da cataste enormi di merci, il posto in fila tenuto con piccoli mosse da lottatori, i numeretti del turno letti cento volte e il concertino dei bip dei codici a barre;
vorticosamente escono tutti con troppe cose, il sacchetto sformato sega le falangi, si fermano a ragionare sulle rampe condominiali, sospiri esausti, nessuno che torni indietro, la grande solitudine chiude velocemente le vetrate. Tutte le porte sono automatiche.

*

aestella,
la tua casa ha cento comignoli in controluce, una chiesetta con guglie più grandi della navata, tu vivi lassù e regoli la luce, a volte sali sul letto per vedere le scoscese dei tetti o sul terrazzo dove la tua città diventa buona, a portata di mano come la distanza tra il bicchiere e il divano;
ogni giorno cambiano le regole della mancanza, tu hai incastrato il tuo tempo come un buon innesto, non piangi se piango piallandomi lo stomaco dove risiedono gli anni dei credenti e dei dolenti, incapace di arrestare l'epistassi,
ma tu trasformami sempre più spesso in un ricordo e scremami come latte appena munto, niente mi si addice meglio d'essere affamata ma diventare il tuo pieno pasto.


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