sabato 7 gennaio 2017

Prendiamo gli anni delle elementari. A occhio e croce sui banchi di scuola devo aver trascorso duecento giorni per ciascuno di quei cinque anni. Fanno un totale di mille giorni. Di questi mille giorni, io ho memoria di qualche lampo, di una faccia, di una certa luce, di qualche nome. Il grosso delle cose è un ricordo del ricordo, ossia è la forma di un’idealizzazione che la mia mente ha edificato nel corso degli anni. Ma non c’è nulla di autentico che io ricordi, e scommetto che se potessi rivedere un solo giorno di quel tempo, un giorno intero, dall’alba al tramonto, come se fosse un film, scoprirei che è stato tutto diverso da come me lo ricordo. Allo stesso tempo non ho memoria del processo di crescita, non ne avevo la percezione allora, non mi svegliavo la mattina consapevole di aver fatto progressi rispetto al giorno prima. Eppure ogni giorno in me accadevano miliardi di cose, trasformazioni fibrillanti e ininterrotte, potenziamenti continui (ora deterioramenti), alterazioni chimiche, organiche. Tutto questo è due cose: è lentezza ed espansione. La lentezza occulta le cose, l’espansione le disperde. Quello che viviamo non è la realtà. Il ricordo che tratterremo del presente è assai diverso dalla realtà del presente. E su questo non ci sarà mai accordo. Oggi è l’anniversario di una perdita per me molto importante. La cosa di cui non mi do pace è che quando perdiamo qualcuno, quel processo non si interrompe con l’evento traumatico della morte. Continuiamo a perdere qualcosa ogni giorno; è un’emorragia continua, inarrestabile. Perdiamo il volto, la voce, i giorni passati, le parole, il senso stesso dell’affetto che abbiamo provato. Lentezza ed espansione. Ed è puerile pronunciare frasi come “resterai per sempre nel mio cuore”, perché muta tutto, perfino quel che resta, perfino l’idea del ‘sempre’, perfino il muscolo deperibile che chiamiamo cuore. Però non possiamo far altro che ricorrere a una qualsiasi forma di autoinganno. Ed è per questo – immagino – che oggi, e solo oggi, provo un’infinita, angosciosa, compassionevole dolcezza per me stesso.

Andrea Pomella