domenica 24 ottobre 2021

 Il consigliere di giustizia Albrecht ad Amburgo aveva messo insieme

un'intera biblioteca sulle debolezze dei grandi uomini.


Friedrich Hebbel, Giudizio universale con pause 


Giudizi non universali

Il severissimo giudice pronunciava con molta grazia le sentenze. Poi calava un silenzio di apparizione mistica e si sentiva amplificato dal microfono il fruscio dei fogli che riordinava, con leggeri colpetti sul tavolo e passando le dita da ogni lato per far rientrare gli angoli, mettere a filo carta su carta; con la stessa cura, chiudeva il fascicolo, facendo un fiocco perfetto, gonfio e aperto, da regalo di compleanno; si alzava e se ne andava a testa bassa, scomparendo dietro la porta del suo ufficio. 

Dall'aula allora gli arrivavano dei brusii incomprensibili; gli avvocati erano così intristiti da incattivire e sbrigativamente liquidavano le domande del cliente fingendosi impensieriti da altre cause.
I colpevoli e gli innocenti del giudice raccoglievano il cappotto posato dietro di loro come stracci da mettere in lavatrice, la sciarpa al collo pendeva tutta da una parte, le occhiaie degli insonni, si avviavano all'uscita salutando i carabinieri con un cenno del capo.
Spesso si rivedevano seduti al bar tabaccheria con un bianco davanti e la sigaretta che lasciavano consumarsi tra le dita, diventare un tubicino di cenere chiara e riscuotersi solo quando sentivano scottare un po' le dita.
Il barista raccontava che tanti si dimenticavano di pagare e se ne andavano prima a destra, poi a sinistra, si fermavano a lungo sulle strisce pedonali, guardandosi le scarpe o per terra, non sapeva. Non li rincorreva mai per farsi dare i soldi, li lasciava andare perché era già andato a male quel giorno.
A nessuno piaceva il venerdì mattina in quell'isolato che negli altri giorni della settimana era pieno di richiami dalle porte dei negozi: la siciliana salutava la parrucchiera e prendeva appuntamento per la messa in piega; il pescivendolo si faceva sull'uscio a pulirsi le mani sul grembiule delle viscere delle sarde, il panettiere portava grossi sacchetti profumati dal vecchio delle pompe funebri e si scambiavano battute sul morto, se era un buon cristiano, se non volesse infilarsi i pantaloni - come in vita, diceva ridendo il compositore di salme - se era una giovane donna e avesse ancora dei riflessi rosa sulle guance. Allora sospiravano come sollevati, come se qualche volta non si morisse davvero e si salutavano.
Ma il venerdì era un via vai da purgatorio, di formichieri a naso rasoterra, di occhi da topo, mancava l'appetito, una specie di tristezza stava ferma a mezz'aria come il fumo denso d'arsenico di pneumatici bruciati.
All'una in punto, il giudice usciva, senza toga, più vecchio di cent'anni, incanutito, passava con gli avambracci tremanti i fascicoli all'autista che aveva già acceso il motore e messo la freccia a sinistra. 
Allora le serrande delle botteghe venivano tirate giù, con strattoni vigorosi.

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