martedì 11 agosto 2020

 Sconfitta,1966. trad.di Erika Reginato



Io che non ho avuto mai un mestiere
che davanti a tutti gli avversari mi sono sentito debole
che persi i migliori titoli per la vita
che appena arrivo in un posto, già desidero andarmene (credendo che
trasferirmi sia una soluzione)
che sono stato rifiutato anticipatamente e schernito per i più
idonei
che mi avvicino alle pareti per non lasciarmi cadere
che sono oggetto di risate per me stesso che
credetti che il mio padre fosse eterno
che sono stato uniliato dai professori di letteratura
che un giorno chiesi in che cosa potessi aiutare e la risposta fu
una risata
che mai potrei avere una casa, né essere brillante, né trionfare
nella vita
che sono stato abbandonato da molte persone perché quasi
non parlo
che ho vergogna per atti che non ho mai comesso
che mi è mancato poco per buttarmi a correre per la strada
che ho perso un centro che mai ebbi
che sono tornato lo zimbello per molta gente per vivere
nel limbo
che mai inciterò chi mi sopporta
che fui escluso dall'altare da persone più miserabili di me
che seguirò tutta la vita così e che l'anno prossimo sarò più volte
preso in giro per la mia ridicola ambizione
che sono stanco di ricevere consigli da altri più addormentati
che io («Lei è molto indietro, si riaccenda, si svegli»
che mai potrò viaggiare in India
che ho ricevuto favori senza ricambiare niente
che vado per la città da un lato ad un altro come una piuma
che mi lascio trasportare dagli altri
che non ho personalità né voglio averla
che tutto il giorno chiudo la mia ribellione
che non me ne sono andato alle guerriglie
che non ho fatto niente per il mio popolo
che non sono della Faln e mi dispero per tutte queste cose e
per altre la cui enumerazione sarebbe interminabile
che non posso uscire della mia prigione
che mi hanno congedato in tutti i posti per inutile
In realtà non ho potuto sposarmi né andare a Parigi, né avere un giorno
sereno
Che mi nego di riconoscere i fatti
che resto a bocca aperta davanti alla mia storia
che sono imbecille e più imbecille di nascita
che persi il filo del discorso che si faceva in me e non ho
potuto trovarlo
che non piango quando sento il desiderio di farlo
che arrivo tardi a tutto
che sono stato rovinato da manifestazioni e manifestazioni
che ho nostalgia della immobilità perfetta e la premura impeccabile
che non sono quel che sono né quello che non sono
che a parte tutto ho un orgoglio satanico ma in certi
tempi sono stato umile fino ad immedesimarmi alle pietre
che ho vissuto quindici anni nello stesso circolo
che mi sono creduto
predestinato a qualcosa fuori dal comune e niente ho vinto
che mai metterò la cravatta
che non trovo il mio corpo
che ho percepito per lampi la mia falsità e non ho potuto
abbattermi, scopare tutto e creare della mia indolenza, il mio
galleggiamento, il mio smarrimento una freschezza nuova, ostinatamente
mi suicido là davanti
mi alzerò dal pavimento ancora più ridicolo per continuare
beffandomi degli altri e di me fino al giorno del giudizio finale.



Ars Poética
Traduzione: Erika Reginato, 2011


Che ogni parola porti quello che dice.
Che sia come il tremore che la sostiene.
Che si conservi come un palpito.

Non ho da dire decorata falsità nemmeno da mettere tinta dubbiosa né aggiungere
lucentezza a quello che c’è.
Questo mi obbliga ad ascoltarmi. Ma siamo qui per dire la verità.
Saremo reali.
Voglio precisioni terrificanti.
Tremo quando credo che mi falsifico. Devo portare in peso
le mie parole. Loro mi possiedono come io le possiedo.

Se non vedo bene, tu dimmi, tu che conosci la mia bugia, segnalami
la calunnia, rinfacciami la truffa.
Ti ringrazierò, sul serio.
Impazzisco per corrispondermi
Tu sei il mio occhio, aspettami nella notte e scorgimi, scrutami, sbattimi.

Rafael Cadenas

(grazie a Gian Luigi)

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