lunedì 7 agosto 2017

non so se ho mai provato a prendere tra le braccia il bambino che sei stato, certo ti ho conosciuto molto provato dalle assenze e ho cercato di nutrirti di ogni cosa a volte non ho fatto realmente niente se non lasciare che ti attaccassi all'abbondanza di vita, all'instancabile ricerca di ogni bellezza che mi agitava ogni momento, da strapparlo ad ogni sonno, ad ogni fine di giorno, ma so solo che hai rotto due bottiglie di olio buono che tua madre ti mandò a comperare e so di quel giorno che tornasti sporco dal campetto dietro casa dove giocavi a calcio e da allora ti fu impedito di tirare al pallone mentre guardavi ammirato e frustrato tuo fratello lindo in tutto entrare ed uscire dalla squadra, fare gol, esultavi anche tu, esultavi perché eri te vedevi, o almeno una parte di te, quella di cui andavi fiero, e so di quando sei caduto con la bici sull'argine e ti sei fatto parecchi male con il freno e anche quella volta tua madre pensò, forse troppo spaventata, troppo sola, troppo giovane, di sequestrarti il tuo unico svago, quel lasciarsi andare giù dalla banca, sentirti campione di destrezza ed equilibrio; ora ti sogno che mi mostri un bambino, quasi sempre di peso e lunghezza di un bambolotto, come vuoto, e c'è una giovane donna con te che tento di conoscere e di farmi piacere, ma mi sfugge, mi si dilegua alla vista man mano che la fisso, e vedo che tu sai come tenere quell'esserino che mi pare che muoia da un momento all'altro, che dovrebbe stare in incubatrice, che è troppo rosso o troppo bianco, o troppo fermo e non oso toccarlo, come non ho osato entrare nella tua esistenza fino in fondo, al momento in cui eri nato e nemmeno cercato un ricordo minimo nella tua triennale amnesia dal quale mai niente è uscito se non qualche foto che dici di ricordare ma succede con le foto, ricostruiamo il dove e il quando, in fondo siamo noi ritratti, dobbiamo pur esserci stati e la tua mostra che ti appoggi alle ginocchia di tuo padre in divisa e a fianco a voi c'è qualcuno vestito da befana, è un sei gennaio che passasti in caserma, come ogni Epifania, alla distribuzione dei dolci per i figli dei comandanti, nella saletta ufficiali, grigia, spoglia, solo quella testa rivolta te che parla e sorride e ha muscolatura e amore in quel piegarsi attorno a te piccolo e stupefatto e serio, serissimo guardi nell'occhio nero dell'obiettivo, chissà quante volte hai riso, com'era la tua risata, e perché non ti sei mai permesso di piangere quel padre, ma solo di vestirti per una volta come un principino, al suo funerale di Stato, la bella bandiera sulla cassa, il bianco perfetto in diagonale, le ali di soldati, i passi lentissimi e poi il buio in testa che ancora oggi se ne sta lì come un tumore in un vecchio, fermo, quieto, salvo quando gridi e scalci nel nulla a volte per un nonnulla che non riesco, che non so.

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