lunedì 12 giugno 2017

Alla peggio, mi dici, col tuo idioma eludente, e già mi vedo correre come se di mezzo non ci fosse niente, arrivare senza un piede o senza corpo come un astro che s'incendia in una notte di agosto,
ma è alla meglio che sarò ancora prima presente, scolaro che risponde al cognome, che con i ginocchi tesi sposta la sedia per scattare in piedi e sarò ancora con te a scontare le cose dette di getto, a guardarmi in cagnesco per l'errore di pronuncia che diventa grandissimo, una sacca liquida che prende sempre un'altra forma e ancora mi riempie tutta, ignoto globo della vita;
e con quanta indifferenza la calca dell'ora ci passerà ancora sopra, alzano la cresta, orgogliosa upupa di un mattino afono.

*

Mi resta solo da chiederti aiuto, aiuto, con le ultime forze muovere il braccio come un pendolo, ma non lo faccio, 
vorrei tanto tacere tutto come tace la terraferma, apparirti coraggiosa, matura costa, giusta, lancia in resta cacciare dallo specchio la faccia che non ti piace, guardarti mentre reggi il libro e con un dito tieni il segno, venirti incontro camminando sulle acque, santificarmi in te, essere la manichina che fai girare su se stessa finché non mi vesta tutta, come fai con la tua precisione di sarta, 
da festa
per il galà che daremo in una luce tenerissima.

4 commenti:

  1. tra peana e ditirambo, ci porta dritti tra le braccia dell'ombra, nel cono di luce di Venere o nei riverberi di un altrove che ci brucia dentro

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  2. dovrei chiamare i vigili del fuoco, diamonds, ora vedo.

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